Insieme ai già conosciuti first party data, ossia quei dati di comportamento raccolti sui propri touchpoint, gli zero party data non sono altro che quei dati che l’utente sceglie intenzionalmente di condividere con il brand, in cambio di un vantaggio.
Ve ne parliamo da anni, solo che dirlo in inglese sembra più sexy, soprattutto se l’hype si accompagna con la nuova stretta del GDPR e del CCPA (rispettivamente: General Data Protection Regulation e California Consumer Privacy Act) che oggi ci dicono che entro fine anno i cookies di terza parte non potranno più essere utilizzati.
In sostanza quel meccanismo che permetteva di perseguitare un consumatore per giorni e giorni con vari banner, solo perché aveva osato guardare delle scarpe da tennis sul sito del Brand X, non sarà più lecito.
E allora sì, da questo punto di vista qualche cambiamento ci sarà di sicuro: per i brand, che dovranno imparare a calibrare meglio i loro investimenti, per le agenzie e i centri media, che non potranno più occuparsi di comprare e vendere i comportamenti degli (inconsapevoli) utenti, e per gli editori, che dovranno finalmente prendere atto che il contenuto è un valore importante e non va svenduto.
Ma allora perché diciamo che non c’è NESSUNA NOVITÀ?
Siamo onesti: il retargeting non può essere considerato un meccanismo piacevole per l’utente, basti pensare che nel solo periodo 2016-2019 la crescita dell’utilizzo di AD blocker è stata del +69% su dispositivi desktop e mobile a livello globale. Inoltre, si tratta di una procedura che non sempre garantisce la brand safety per l’azienda e non necessariamente porta alle desiderate conversioni.
No (own) data? No party!
Da anni lo sosteniamo: l’unico modo certo per poter avviare un percorso di relazione valoriale con i vostri clienti o prospect, è partire dalla costruzione del vostro database comportamentale. Un database pulito, che contenga le persone che vogliono realmente avere vostre informazioni, aggiornamenti sulle novità, su prodotti e servizi, attività anche promozionali, certo, ma pensate realmente per loro. L’unico modo per poter raccogliere e gestire davvero gli zero e i first party data è costruire delle strategie di ingaggio proprietarie che guidino l’utente attraverso customer journey di valore, che gli possano restituire vantaggi personalizzati sulla base dei comportamenti osservati.
Valore in cambio di valore, quindi. L’utente è disposto a cedere alcune informazioni personali se in cambio potrà ottenere dei benefici, dei vantaggi, delle attenzioni personalizzate in un dato momento.
Stiamo forse parlando nuovamente del più antico dei mantra? Il 1to1 marketing? Ovvio.
Ripartiamo dalla loyalty
Se alla parola “loyalty” associate il ricordo delle raccolte punti, possiamo descriverla semplicemente come “un processo di ingaggio valoriale e continuativo su base qualitativa”. Ovvero la capacità di passare da un primo contatto con l’utente ad un percorso che lo porta a diventare cliente attento agli stimoli della marca. Per i marketers: stiamo parlando di behavioral loyalty.
È in questo perimetro che i brand dovrebbero attivarsi per costruire il loro walled garden, un giardino recintato all’interno del quale fare entrare solo le persone che hanno espresso il proprio consenso. Un ambiente protetto dove costruire percorsi loyalty comportamentale e dove, per ogni azione svolta, si possa scatenare un vantaggio personalizzato per l’utente, anche basato su meccanismi di gamification.
Come fare? Abbiamo già tutte le tecnologie a supporto, basta utilizzarle bene.
Primariamente è necessario fare un Data Assessment.
Come vengono gestiti i dati dei vostri clienti nelle prime fasi di attivazione? Qual è la procedura di registrazione? Prevede l’utilizzo di un CRM? E ancora, i dati al suo interno sono statici o periodicamente arricchiti? Li clusterizzate secondo variabili predefinite o secondo parametri di osservazione e apprendimento? Questo processo porta valore a tutte le funzioni aziendali?
Ma soprattutto, una volta mappati e analizzati, come li “agite” dopo?
Dopodiché bisogna fare il punto sulla strategia.
Avete un controllo nitido di tutti i vostri touchpoint? Le informazioni convergono tutte verso un medesimo data-lake? Avete una vista unificata dell’utente? Quali attività mettete in campo periodicamente per ingaggiarlo e dialogare con lui?
Ecco queste sono solo alcune delle domande che vi sareste già dovuti porre da tempo e che vi avrebbero fatto guadagnare tempo e awareness nei confronti del vostro pubblico.
Ora queste domande, e soprattutto le loro risposte, hanno una scadenza molto ravvicinata.
E si sa, il tempo è denaro. Oggi più che mai.